Tornese e il Pensionato

patrizio

Utente
IL PENSIONATO 

“Io, io l’avrei comprato e gli avrei dato cento e toh, anche centocinquanta milioni, e avrei fabbricato trenta box per le cavalle, trentacinque cavalle all’anno mica di più. Se no si stanca. 

E sarei pure stato bene, cinquecentomila per monta: mamma mia ’nu signore”. L’omino che mi dice così dà un calcio alla neve. Camminiamo adagio, lui, un cavallo e io, nella brughiera lungo una pista nera di allenamento. Il cavallo ha fatto la trottata e adesso, staccato, ripulito e coperto, ci accompagna tranquillo, con la testa diritta. Punta le orecchie ogni poco, verso suoni impercettibili di là del filare di pioppi. 

Che c’è, cosa sente? domando. “Eh, chi lo sa”, dice l’omino. “Forse le campane. Allora pensa alla campana delle corse. Lui sente tante cose”. È l’alba del primo dell’anno, non c’è nessuno, che silenzio. Ieri c’erano visite importanti, i proprietari, e l’altro ieri il padrone della scuderia, il celebre tenore: Sergio Brighenti. 

(Questa mattina saranno tutti a letto, o forse ancora in piedi, coi brindisi.) L’omino dice ancora: sì, centocinquanta milioni pure. E io gli guardo il maglione pure. Fatto in casa, sporco di bave di cavallo e di fili di paglia, i calzoni blu troppo leggeri per questo nord. Ma come, dico, dove li troverebbe? “Dalla Sisal, dalla Sisal dove volete mai? Così, capite, lui sarebbe rimasto a me, a me che gli voglio più bene che a mia moglie, che pure mi ha dato tre figli ed è brava. 

Così capite, saremmo rimasti insieme. E invece andrà via, questione di una settimana, due. L’hanno venduto”. 
Passeggiata, il giro adagio, la nebbia sale un poco. Facciamo le foto? Sì, dice Orestino e scuote la testa: per lui sono le ultime, ormai. Dà una lisciata alla criniera bionda di Tornese, che stia bene, sulla sinistra. “Come dobbiamo metterci?”, dice Orestino. “Ma niente”, rispondo, “state così”. Orestino allunga la faccia. Tornese la gira verso di lui, la china, si guardano, si mettono guancia a guancia. “Poi ce la manda?” dice Orestino. 


Oggi Capodanno, Tornese entra per regolamento negli undici anni, anche se li compirà in luglio. Gli è vietato correre, è classificato vecchio. La gente di cavalli, del resto, lo chiama il Vecchio, come Adenauer, già da un pezzo. Mai visto al mondo un cavallo correre e vincere per sette anni. Adesso basta, a casa. 

E a lui magari piacerebbe ancora, dico a Orestino. “Sì che gli piacerebbe”, risponde. “perché in pista si trasforma, è la sua passione anche se non è per fare gara, l’ha visto stamattina? Sì, appena in pista diventa vivo, tutto allegro, allegro proprio, è che gli piace. Ma da due anni è un poco stanco. 

Oh, mica di forze, perché ancora adesso se lo battono è per fortuna. Stanco di morale, che vi devo dire: stufo. E ci ha ragione, forse ha capito”. 
L’altro giorno venivo qui a Nosate, nella brughiera sotto Varese, insieme con Sergio Brighenti che guidava una sport e diceva: “Vede, la gente dice che Tornese è diventato uno dei più grandi trottatori di tutti i tempi perché l’ho allenato e guidato io. Sarà anche vero, modestia a parte, mi capisca. 

Ma adesso a Nosate lei troverà un uomo di scuderia che si chiama Orestino. Schettino Orestino, ha trent’anni ma sembra un ragazzo, è di Napoli e sta con me ormai da anni. È l’amico di Tornese da più di cinque, il suo uomo di stalla. Sa che ci sono dei cavalli che hanno bisogno di avere sempre vicino la capretta o la pecora o il somarino, per stare tranquilli. 

Oppure un altro cavallo, un brocco che gli fa da tifoso. Tornese ha bisogno dell’uomo, di Orestino. Va be’, allora le dico che se Tornese è stato quello ch’è stato, lo si deve in massima parte all’Orestino”. 
Nosate sono quattro case a due chilometri, e qui le scuderie con i cavalli dei clienti, gli stallieri, la pista per gli allenamenti e le sgambature mattutine. E Orestino con Tornese, secondo box a destra. La famiglia di Orestino sta al piano di sopra, le famiglie degli stallieri non si fanno mai vedere, è come non ci fossero. 


Adesso siamo seduti nella paglia e Tornese ci guarda. Lo hanno venduto, ripete Orestino. E che cosa farà adesso? Domando: “In razza, no? lo hanno venduto per ottantacinque milioni a un allevamento del ministero delle foreste, a Crema. Oh, non starà mica male, Brighenti ha detto che è un bell’allevamento, di quelli militari di una volta. È stata già una buona cosa che non lo abbiano venduto agli americani. Così resta qui, in Italia”. 

Lo andrà a trovare? chiedo, Orestino fa un sorriso. “Magari. Ma qui, vede, c’è tanto da fare, ogni giorno”. Nelle vacanze, dico. “Noi non possiamo avere vacanze”. Potreste fare dei turni, insisto. “I cavalli hanno bisogno del loro uomo, sempre quello. I cavalli da corsa, capite”. E adesso, allora, Tornese come farà? “Adesso si arrangerà, tanto, correre non deve mica più. Chi volete che si preoccupi? Starà nervoso. Ha finito di correre e allora anche se sarà nervoso, che importa?”. 

Si sfogherà con le cavalle” “Eh le cavalle. Sì, chi lo sa. È vergine, sapete, ancora ’nu bambino, ma io lo capisco che gli piaceranno. Una volta manco le guardava, adesso invece... Ma è tanto bravo, è sempre stato tanto bravo che lo sarà anche per quello, lo giuro io”. 


Io mi sdraio nella paglia, Tornese mi piglia coi denti a una manica e tira, senza far male. Mah, dico, io non me ne intendo, però immagino che un cavallo da corsa, un campione, dopo tante fatiche viaggi e rinunce, be’, quando va in razza è la pacchia. Come se uno di noi facesse l’atleta fino a trent’anni... “Eh no”, dice Orestino, “Tornese è come ne avesse quasi sessanta!”. Sessanta e correva la settimana scorsa?! “Ma sì, un diavolo vi dico”. 

D’accordo, non insisto: ma come se uno di noi, finito di sudare, lo mettessero in una bella villa col parco e gli dicessero: toh, dormi, mangia, ingrassa, vai pure a rotolare per i prati e spara calci alla luna, che ogni settimana ti portiamo qui le meglio del mondo. Eh? 


Orestino fa un altro sorriso timido. “Vedete, voi proprio vi fate una idea sbagliata, voi proprio non sapete. Mo vi spiego. Loro non possono fare all’amore come noi, che a una ragazza ci facciamo la passione e le cerimonie, lui non ci correrà insieme pei prati proprio per niente, e manco tirerà calci alla luna, lui aspetterà nel box finacché lu ruffiano farà il lavoro suo”. 

Chi? “Lu ruffiano sì, è lo stallone che fa ‘sto lavoro, lui non conta, mica è un campione: quando arriva la cavalla gliela presentano e lui poveraccio ce crede, ogni volta ce crede e si dà da fare e insomma la prepara. Ecco allora la legano in corte, che non può sparare calci né manco muoversi, e arriva lui, il campione, e arriverà lui 

Tornese mio, bello dritto con le orecchie ferme perché ha capito, gli basterà una volta e avrà capito. Ma che soddisfazione volete, signore mio, con tanta gente intorno che li aiuta e gli sta appresso, che soddisfazione mai?”. Ma perché, dico io, non li mandano sui prati ad annusarsi, far conoscenza e tirare calci? 

“Perché, perché. Possono farsi male, delicati sono, un mucchio di soldi, capite, e poi non si devono stancare: un minuto e via”. Io rimango perplesso: allora, dico, era tutta una mia idea. E poi mi viene da chiedere: e lu ruffiano? “Eh be’, a lui poi, ogni tanto, gli danno un’altra cavalla, una cavalla brocca, che se sfoghi”. Non è mica giusto, dico a Orestino. “Li cavalli”, risponde evasivo. 


Tornese mi morsica da tutte le parti, specialmente le tasche. “Pizzica”, dice Orestino, “Lo fa se ci ha simpatia, ma a mio figlio piccolo non c’è pericolo, e quando entra nel box, lui sta con le zampe immobili per non pestarlo. Una volta scese dal wan e mi mise lo zoccolo sul piede. 

I cavalli quando pestano uno dei piedi nostri, chi sa perché, si emozionano e schiacciano di più, per agitazione, per ignoranza. Ci sono i cavalli ignoranti. E Tornese? Eh,Tornese. Io dissi ahi! e lui via subito la zampa, e mi guardò e mi toccò col muso. ‘Nu cristiano”. Va bene, allora dico a Orestino che vorrei sapere quale sarà la giornata di Tornese, adesso ch’è finita. 

“Uguale alle altre, niente cambia, salvo la monta quando ci ha da essere”. Nemmeno un pugno di biada in più? “Là faranno ciò che gli pare”, dice con falso disinteresse, “ma dovrebbero andare avanti così, non dargli di più se no ingrassa e sta male e poi ci vuole l’olio”. Io tiro fuori il notes e chiedo a Orestino di darmi rendiconto della giornata di Tornese, campione dei campioni, cavallo cristiano. 

“Dunque”, dice Orestino, serio, perché la giornata di Tornese eccetera eccetera, è anche la sua, ex-scugnizzo delle parti della Mostra d’Oltremare. “Dunque ore 6, pulizia del box. Ore 6,30 allenamento, se non piove, in pista per un’ora. Un’ora faceva, che è tanto, perché gli piaceva. 


Ore 7,30 in box, e brusca e striglia,che poi sarebbe striglia e brusca perché la striglia e la spazzola di ferro per la polvere, e poi ci va la brusca che è la spazzola più morbida: massaggio, sì massaggio con le mani ai muscoli, con le pomate canforate; e poi lo copro che stia caldo. Così gli comincio la cura ai piedi. 


Eh, tutti i cavalli ci hanno i piedi delicati, ma Tornese specialmente. Vedete, quando lui andava su una pista nuova, ci andava adagio, la tastava, e ci faceva molti giri, tutto attento, e Brighenti lo sapeva, glielo avevo detto, e lo lasciava fare. Se era morbida, bastava poco, si dava a trottare subito, era contento. 

Se era dura ci pativa. Sapete, la gente mica le sa queste cose e allora dice, eh Tornese ha vinto tutto meno l’Amérique a Parigi, cinque volte l’ha tentato. Mica sanno che su quella pista di carbone lui ci soffriva, e tornava da me che quasi piangeva. Eppure due volte fu secondo, due volte, perché era ’nu cristiano. 

Eh se avesse avuto li piedi boni, nessuno al mondo, nessuno mai l’avrebbe stropicciato, ma che francesi, ma che americani, mi fanno ridere. Va be’, dove siamo arrivati? Alle cure dei piedi, la tintura ogni tre giorni alla corona dello zoccolo e il grasso corniere, e la pomata alle pastoie che son la fossetta dietro le unghie. Due o tre ore, capite, ogni mattina 

. E alle dieci gli faccio la lettiera di paglia, e lo sciolgo, gli metto il fieno per terra che così gli piace, non nella mangiatoia. Ore 10,30, se non arrivo, lui bussa alla porta del box perché chiama da bere, e gli porto il secchio di quattro dita d’acqua e il resto urotropina che è ’nu diuretico, e alle undici la biada 

. Un gran mangione lui, ma non si abboffa come i cavalli ignoranti, lui adagio, poco per volta, e poi chiede da bere e poi rimangia e vuole che gli rifaccia pulito il mucchio di fieno altrimenti se scoccia. Sette chili di biada al giorno, una misura la mattina e due la sera; otto chili di fieno, due chili di cicoria e gramigna. Se poi ha fatto allenamento o corsa, be’, quando li faceva Tornese mio, allora gli davo il pastone, biada e orzo cotti in olio di lino impastati con la crusca. 

E lui è l’unico che lo vuole nel secchio anziché in mangiatoia, lui vuole mangiare pulito. E tanto gli piace! E dite che ancora glielo devono dare ogni tanto, che gli fa bene: e poi ogni otto giorni l’olio francese che fa lassativo. 

Così la mattina: al pomeriggio si riattacca alle quattro, che vuole da bere e che gli rifaccia il mucchio di fieno. Alle sei la biada e alle dieci e mezzo di notte il secchio da bere, acqua genuina. Così lo lascio che sono le undici perché prima di andare a dormire gli sto un poco insieme, gli spiego, gli sento le orecchie, perché li cavalli sono il contrario di noi: se fredde le hanno, è febbre. 

E lui calde, sempre calde le ha avute, mai m’ha dato pensiero. Oh sì una volta, ’na colica renale. Aveva corso, era giovedì, e torna nel box e stava male, come ’nu bambino. Durò due ore. Ma intanto l’avevano saputo, Tornese sta male, dicevano e facevano la faccia eccitata; domenica, capite, ci sarebbe stata una corsa importante. Tornese sta male, Tornese sta male. 

E io zitto nel box a lisciarlo, a fargli i massaggi: statti quieto, gli dicevo, che mo’ li freghi. E la domenica i bookmakers lo mettono a cinque, a sei, e quando c’è da entrare in pista lui prim pram viene fuori che sembra lu padreterno e tutta la gente lo guarda. E dov’era ’sta colica renale? 

’Na confusione! E alla corsa via che ti parte, con ’sta criniera bionda di peli fini come di donna, vedete?, embé gli faceva come il pavese alle navi. Lui aveva tre scatti, a principio, a metà e al finale. E al secondo scatto gli aveva spaccato le ossa a tutti, e al terzo veniva avanti Tornese mio, come ’na locomotiva, trenta metri aveva, trenta metri”. 


Orestino mi spinge fuori dal box. “Lassammolo, lassammolo in pace” dice, e scuote la testa “che brutta vita”. 
La brughiera è senza uccelli, senza voci. Viene fuori dalle scuderie un cavallone scuro al sulky, comincia a girare per la pista, anello nero nella neve. “Trotta male, quello lì”, dico. Orestino fa spallucce, Il cavallone gira silenzioso, si sentono solo le froge. “Io non so”, dico, “però il trotto mi sembra artificiale”. Sì, dice Orestino. “E lui? Anche per lui?”. 

Orestino sorride: “No, per lui”, risponde, “no per lui: a lui gli era naturale, da bambino galoppava, si capisce, ma poi gli è piaciuto, e adesso se lo liberate trotta, e se lo guardi è naturale, è il suo modo di andare via, testa alta petto in fuori e il treno delle gambe sotto. Un re. 

Guardate qui, signore: sono le sue tracce di stamane, io le riconosco, potete credere. Quante zampe vedete? Due? Due sì, o invece sono quattro, tutte e quattro, perché lui è perfetto e mette il piede di dietro giusto giusto sulla orma di quello avanti”. Io mi chino e guardo come gli indiani, c’è uno zoccolo solo, senza sbavature, solo più fondo nella sabbia, e lì un altro, come un disegno a bulino, due più due, due più due. Un re. O uno struzzo. No, no: un re. 


E così andiamo nella trattoria a mangiare e dopo un po’ a Orestino gli chiedo: “Ma è vero che sono intelligenti?” “Mica tutti”, dice, “ci sono i cavalli ignoranti. Ma lui…”. Allora mangiamo e beviamo tra i contadini che giocano a briscola, e di là sono dei giovani al biliardo, si sente ogni tanto la parola Jair e poi voci concitate in dialetto duro. “L’intelligenza sua”, sussurra Orestino, “nessuno potrebbe crederci” 

. Io sì, sussurro, io ci crederei se me la racconta. “Allora così, le dico qualcosa, come mi viene in mente, perché l’intelligenza sua è di ogni giorno, come li cristiani. Ecco, la corsa: lui la sentiva, quasi tutti i cavalli la sentono, ma lui in modo speciale, e se aveva vinto tornava allegro, tutto dritto e tranquillo anche se aveva il fiatone, e si faceva il giro d’onore che gli tremava la pelle. 


Ma se perdeva... se perdeva nemmeno io potevo toccarlo, rifiutava lo zuccherino, andava in box, sparava un calcio e guai a entrare. E lo zuccherino? Gli altri lo pigliano e mandan giù, lui lo spezza coi denti e lo prova, capite? come per essere sicuro. Diffidente diventava, quando era giorno di corsa. Poi un giorno a Stupinigi passeggiava davanti alle scuderie, cavalli e cavalli gli passavano davanti per andare in pista, e lui manco li guardava. 

A un certo punto arriva Quick Song, che era bravo e gli aveva corso insieme qualche volta. E Tornese si ferma, si gira, gli mette gli occhi addosso: be’, l’ha seguito con occhi e orecchie fino al cancelletto. Li ricordava, uno per uno, i rivali suoi. Un giorno s’incrocia con Crevalcore, altro cavallo fino. Era a Roma, in allenamento sulla pista. Da sei mesi non si vedevano 

. E Crevalcore lo guarda e fa un nitrito come a saluto, come di rabbia, va’a sapere. Tornese si volta adagio e gli manda uno sguardo, ’no sguardo di squadro come a dire: e tu che vuoi? passa via va’, che te, te sistemo quando me pare. Tornese mio, mai più ce ne saranno. 
E quando correva, sapete che faceva per dire: adesso parto, parto sì e ce la metto tutta e passo avanti, sapete che faceva? Drizzava la coda, Brighenti lo conosceva e allora via, hei! gli gridava, e lui via, via! E a un certo giorno col suo hei! si fregò lui, povero Brighenti. 

Perché il proprietario gliel’aveva tolto, anni fa, e così l’amico suo, e andò a vincere come ’nu signore. Mah, e adesso è finita”. 


Sono le quattro, lui aspetta il secchio d’acqua e un poco d’ordine al suo fieno. Quanti viaggi, dice Orestino, tutto il mondo, quasi. Poi ride: “Sapete, in treno non voleva la corda, quella che si tira per fare il divisorio del box. Se gli mettevano la corda lui gli passava sotto come ’na biscia. Se non gliela mettevano, stava al suo posto senza bisogno di niente. 

Però dovevo esserci io. Piazzavo la mia branda davanti a lui, e si partiva. E tutte le volte che il treno si fermava nelle stazioni, di notte, veniva a toccarmi col muso in faccia, per sentirmi se c’ero ancora se non fossi smontato. E così la mattina mi svegliavo tutto coperto di biada e di fieno. E s’ero stanco morto e non mi svegliavo e il treno era fermo, lui mi prendeva alla giacca e mi scuoteva. E sempre in piedi dormiva. 

Gli altri cavalli si buttano giù. Lui no, coi piedi davanti fa un mucchio di paglia, ci si mette giù adagio di spalla e si rotola, si rialza, si struscia il collo contro la parete perché gli piace grattarsi, poi rifà bene il mucchio e ripete dall’altra parte. Basta: s’è riposato, dieci minuti. Poi si rilascia, in piedi, con la gamba di dietro molle. Sempre in piedi sta. Vi dicevo: ’nu cavallo speciale”. 


Gelinotte. Oriolo, Assisi, Checco Pra, Gebel, Onfrin, Crevalcore, Icare IV, Jamin, Geriolin, Nievo, Ledro, Erro, Giusto, Quick Song, Ykori Fire, New Star... I suoi rivali? domando a Orestino che li elenca guardando la nebbia. 

“I più grandi campioni, tutti li stracciò “, dice come se li vedesse sfilare uno a uno là in fondo. Si ferma, le scuderie sono vicine. si sente l’odore di fieno, un lieve fumo d’animali caldi dalle finestrelle. “Ed è finita”, dice. “Lei quanto guadagna al mese, Orestino?” domando all’improvviso. “Io, con gli assegni moglie tre figli fanno novantamila”. 

Sta bene qui? “Si, Brighenti è amico, tratta bene” Quanto ha guadagnato Tornese in sette anni? “Eh, più di trecentocinquanta milioni, senza contare che adesso lo vendono, altri milioni. Milioni, milioni”. E lei? “Io cosa, signore?”. “Quando Tornese vinceva i gran premi, lei...” . “Ah. Eh, diecimila di mancia. Mi quadravano la trasferta, perché sapete sono millecinquecento lire al giorno e nelle grandi città millecinquecento lire, vui capite, la moglie s’arrabbiava perché non le portavo mai niente, e magari ero stato via per Natale. 


Nemmeno le vacanze facevo. In America erano dieci dollari al giorno, vui capite, e manco ci furono le diecimila perché Tornese mio non vinse. Ma lì fu sfortuna sapete, fu nera scalogna perché lui era superiore, lui li avrebbe stracciati e invece fu così, adesso le spiego perché gli altri non sanno e poi parlano, Tornese mio...”. 

 
 
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